di Simone d’Antonio.
“La forza del movimento delle donne sta anche nella capacità di saper lavorare assieme per creare una visione alternativa del ruolo e della funzione della donna”.
Un milione di persone in piazza, centinaia di comitati locali, un programma d’azione ambizioso e di ampio respiro. Il comitato “Se non ora quando?” ha rilanciato con la grande manifestazione del 13 febbraio scorso l’impegno di donne appartenenti a generazioni ed estrazioni diverse, mettendo in luce i tanti punti oscuri della condizione femminile in Italia ma anche il vigore di idee e progetti che puntano dai livelli locali a garantire maggiori diritti e partecipazione civile e sociale. Una situazione per certi versi simile a quanto avviene nella sponda sud del Mediterraneo, dove il ruolo delle donne nei processi di rinascita democratica appare sempre più significativo. Non si tratta solo di un momentum, ma di una più ampia presa di coscienza della propria importanza nella costruzione di società più aperte ed inclusive. Ne è convinta Cristina Comencini, la regista e scrittrice che assieme alla sorella Francesca ha promosso la manifestazione di febbraio e il nuovo momento di confronto di tutti i comitati italiani del 9 e 10 luglio a Siena sui temi della maternità, del lavoro e della rappresentazione dell’immagine della donna nei media e nella società.
È particolarmente significativo che sulle due sponde del Mediterraneo le donne siano diventate nello stesso anno protagoniste di sollevazioni e movimenti popolari che puntano a riaffermare la democrazia e il ruolo della donna nello spazio pubblico. Come giudica in parallelo quanto avvenuto in Italia con “Se non ora quando?” e il ruolo avuto dalle donne nelle rivoluzioni del mondo arabo?
“Abbiamo riflettuto molto sulle ragioni del grande successo della mobilitazione dello scorso 13 febbraio. C’erano stati altri eventi in precedenza, come a Milano nel 2006, ma nulla di paragonabile con quanto avvenuto a Roma. Si sono preparati eventi in varie zone d’Italia ma c’è un momento in cui si accende un cerino e dappertutto accade qualcosa di imprevedibile. Le ragioni di un parallelo fra la situazione italiana e quella del Nordafrica stanno nella presa di coscienza da parte delle donne di quello che sono, del loro ruolo nella società. Apparentemente la situazione delle donne italiane può apparire lontana rispetto a quella delle donne arabe, ma aver intrapreso un percorso di presa di coscienza è quello che ci accomuna”.
In che modo intendete proseguire in Italia l’impegno di questo movimento, che ha risvegliato la voglia di partecipare di tantissime persone che non ci avevano mai provato o avevano smesso di impegnarsi da tempo?
“Vogliamo utilizzare ancora il sistema che negli ultimi mesi ci ha consentito di guadagnare una nuova visibilità sulla scena pubblica e raggruppare forze che prima erano disperse. Intendiamo continuare a lavorare a livello locale, con i tanti comitati che realizzano esperienze significative ogni giorno. Bisogna però continuare a promuovere questo movimento, ci sono ancora tantissime donne e uomini da raggiungere, che del nostro impegno non ne hanno ancora mai sentito parlare. L’incontro di Siena è l’atto fondativo di questo movimento di donne, che intende rilanciare le nostre istanze e i nostri temi anche in senso politico”.
In che misura l’arte e la cultura possono contribuire a far riemergere un’immagine diversa della donna nei contesti sociali e nel dibattito pubblico?
“Possono contribuire moltissimo e questo non lo sostengo soltanto perché sono impegnata con la mia attività professionale nel mondo della cultura ma perché ritengo che un ripensamento di tutto ciò che sul piano simbolico e culturale è legato alle donne non possa essere articolato in una proposta se non è legato ad un impegno delle arti. L’Istat ci fornisce dei dati impietosi sulla condizione della donna in Italia (il lavoro familiare per il 76,2% è un’ esclusiva femminile): penso che sia necessario legare l’analisi di questi fenomeni anche alle nostre esperienze personali, che viviamo ogni giorno. La forza del movimento delle donne sta anche nella capacità di saper lavorare assieme per creare una visione alternativa del ruolo e della funzione della donna”.
Come accennavamo in precedenza, nei paesi arabi si sta assistendo ad un risveglio della coscienza civile delle donne che stanno avendo un ruolo significativo nella rinascita democratica di questi paesi. Quale pensa possa essere il contributo più significativo che le donne possono dare in un momento di emergenza democratica o, come accade invece in Italia, in un momento di oggettiva difficoltà della dimensione femminile?”
“Il contributo che possiamo dare è proprio nel non essere più chiamate solo in situazioni di emergenza ma entrare a pieno titolo al cinquanta per cento nella società, nella politica e nei centri diretti del potere, intesi non in accezione negativa ma come potere di fare le cose. Per fare questo c’è bisogno che le donne siano messe in grado di usare le libertà che nel corso del tempo sono state conquistate ma che non viene consentito loro di utilizzare. Se una donna dopo la maternità non viene messa nelle condizioni di lavorare, difficilmente potrà entrare in un consiglio di amministrazione di una grande impresa. Il welfare è un elemento fondamentale per garantire alle donne pieni diritti”.
In che modo questo può rivelarsi utile per l’intero scenario mediterraneo?
Per esempio se penso a quanto avviene nel sud, nella locride, penso che le donne possano portare cambiamenti fondamentali nelle relazioni uomo-donna, nell’affermare i valori del rispetto, nel sostenere pubblicamente il fatto che non sia normale subire violenze domestiche. Sono tutti fattori in grado di cambiare la vita delle donne, che ritengo siano anche una forza enorme contro la criminalità organizzata. Sul piano della coscienza personale e collettiva, le donne si fanno portatrici di elementi che entrano nel sentire comune e credo che abbiano la possibilità come nessun altro di partecipare alla lotta alla corruzione perché sentono più di tutti nella propria vita privata le storture del potere.