Incontro Mediterraneo

Dialogo Interculturale

Se non ora quando? La presa di coscienza delle donne delle due sponde

Posted by Incontro Mediterraneo on October 23, 2011

di Simone d’Antonio.
“La forza del movimento delle donne sta anche nella capacità di saper lavorare assieme per creare una visione alternativa del ruolo e della funzione della donna”.
Un milione di persone in piazza, centinaia di comitati locali, un programma d’azione ambizioso e di ampio respiro. Il comitato “Se non ora quando?” ha rilanciato con la grande manifestazione del 13 febbraio scorso l’impegno di donne appartenenti a generazioni ed estrazioni diverse, mettendo in luce i tanti punti oscuri della condizione femminile in Italia ma anche il vigore di idee e progetti che puntano dai livelli locali a garantire maggiori diritti e partecipazione civile e sociale. Una situazione per certi versi simile a quanto avviene nella sponda sud del Mediterraneo, dove il ruolo delle donne nei processi di rinascita democratica appare sempre più significativo. Non si tratta solo di un momentum, ma di una più ampia presa di coscienza della propria importanza nella costruzione di società più aperte ed inclusive. Ne è convinta Cristina Comencini, la regista e scrittrice che assieme alla sorella Francesca ha promosso la manifestazione di febbraio e il nuovo momento di confronto di tutti i comitati italiani del 9 e 10 luglio a Siena sui temi della maternità, del lavoro e della rappresentazione dell’immagine della donna nei media e nella società.

È particolarmente significativo che sulle due sponde del Mediterraneo le donne siano diventate nello stesso anno protagoniste di sollevazioni e movimenti popolari che puntano a riaffermare la democrazia e il ruolo della donna nello spazio pubblico. Come giudica in parallelo quanto avvenuto in Italia con “Se non ora quando?” e il ruolo avuto dalle donne nelle rivoluzioni del mondo arabo?

“Abbiamo riflettuto molto sulle ragioni del grande successo della mobilitazione dello scorso 13 febbraio. C’erano stati altri eventi in precedenza, come a Milano nel 2006, ma nulla di paragonabile con quanto avvenuto a Roma. Si sono preparati eventi in varie zone d’Italia ma c’è un momento in cui si accende un cerino e dappertutto accade qualcosa di imprevedibile. Le ragioni di un parallelo fra la situazione italiana e quella del Nordafrica stanno nella presa di coscienza da parte delle donne di quello che sono, del loro ruolo nella società. Apparentemente la situazione delle donne italiane può apparire lontana rispetto a quella delle donne arabe, ma aver intrapreso un percorso di presa di coscienza è quello che ci accomuna”.

In che modo intendete proseguire in Italia l’impegno di questo movimento, che ha risvegliato la voglia di partecipare di tantissime persone che non ci avevano mai provato o avevano smesso di impegnarsi da tempo?

“Vogliamo utilizzare ancora il sistema che negli ultimi mesi ci ha consentito di guadagnare una nuova visibilità sulla scena pubblica e raggruppare forze che prima erano disperse. Intendiamo continuare a lavorare a livello locale, con i tanti comitati che realizzano esperienze significative ogni giorno. Bisogna però continuare a promuovere questo movimento, ci sono ancora tantissime donne e uomini da raggiungere, che del nostro impegno non ne hanno ancora mai sentito parlare. L’incontro di Siena è l’atto fondativo di questo movimento di donne, che intende rilanciare le nostre istanze e i nostri temi anche in senso politico”.

In che misura l’arte e la cultura possono contribuire a far riemergere un’immagine diversa della donna nei contesti sociali e nel dibattito pubblico?

“Possono contribuire moltissimo e questo non lo sostengo soltanto perché sono impegnata con la mia attività professionale nel mondo della cultura ma perché ritengo che un ripensamento di tutto ciò che sul piano simbolico e culturale è legato alle donne non possa essere articolato in una proposta se non è legato ad un impegno delle arti. L’Istat ci fornisce dei dati impietosi sulla condizione della donna in Italia (il lavoro familiare per il 76,2% è un’ esclusiva femminile): penso che sia necessario legare l’analisi di questi fenomeni anche alle nostre esperienze personali, che viviamo ogni giorno. La forza del movimento delle donne sta anche nella capacità di saper lavorare assieme per creare una visione alternativa del ruolo e della funzione della donna”.

Come accennavamo in precedenza, nei paesi arabi si sta assistendo ad un risveglio della coscienza civile delle donne che stanno avendo un ruolo significativo nella rinascita democratica di questi paesi. Quale pensa possa essere il contributo più significativo che le donne possono dare in un momento di emergenza democratica o, come accade invece in Italia, in un momento di oggettiva difficoltà della dimensione femminile?

“Il contributo che possiamo dare è proprio nel non essere più chiamate solo in situazioni di emergenza ma entrare a pieno titolo al cinquanta per cento nella società, nella politica e nei centri diretti del potere, intesi non in accezione negativa ma come potere di fare le cose. Per fare questo c’è bisogno che le donne siano messe in grado di usare le libertà che nel corso del tempo sono state conquistate ma che non viene consentito loro di utilizzare. Se una donna dopo la maternità non viene messa nelle condizioni di lavorare, difficilmente potrà entrare in un consiglio di amministrazione di una grande impresa. Il welfare è un elemento fondamentale per garantire alle donne pieni diritti”. 

In che modo questo può rivelarsi utile per l’intero scenario mediterraneo?

Per esempio se penso a quanto avviene nel sud, nella locride, penso che le donne possano portare cambiamenti fondamentali nelle relazioni uomo-donna, nell’affermare i valori del rispetto, nel sostenere pubblicamente il fatto che non sia normale subire violenze domestiche. Sono tutti fattori in grado di cambiare la vita delle donne, che ritengo siano anche una forza enorme contro la criminalità organizzata. Sul piano della coscienza personale e collettiva, le donne si fanno portatrici di elementi che entrano nel sentire comune e credo che abbiano la possibilità come nessun altro di partecipare alla lotta alla corruzione perché sentono più di tutti nella propria vita privata le storture del potere.

Posted in Cover. Attualità, Italia | Leave a Comment »

Incontro Mediterraneo New Issue. October/November 2011

Posted by Incontro Mediterraneo on October 23, 2011

di Emanuela Chiumeo
“Se non ora, quando?” È il nome di un movimento, ma anche la domanda che pone tanta gente che affolla da mesi le  piazze di mezzo mondo,  divenute “agorà” per lo  scambio di opinioni, proteste e sit-in ad oltranza.
Incontro ha voluto ascoltare le donne di quelle piazze, quelle che da sempre si battono per i propri diritti  in campi diversi. Tra le intervistate: Cristina Comencini, attrice di teatro e sceneggiatrice, una delle promotrici del Movimento “Se non ora, quando?”;  Sahar Sallhab, personaggio di primo piano nel campo della finanza, considerata tra le 100 donne più influenti del mondo arabo ma anche attivista a favore delle giovani donne della Rivoluzione egiziana e dei loro diritti passati e futuri; Rejeb Youad, tunisina, attivista dell’ “Université féministe Ihem Marzouki”, nata per dare maggiore impulso al dialogo tra uomini e donne. È fuori di ogni dubbio che la “conquista dei diritti” passi anche attraverso profonde riforme nella società, nella comunicazione, nel sociale, nell’economia, ma anche nella “trasparenza negli investimenti”: una priorità anche per Osama Saleh, Presidente del GAFI (General Authority For Investments and Free Zones in Egypt) di cui riportiamo una attenta analisi economica…  Dalle piazze alle rivoluzioni. Alla ricerca di un sorriso, Incontro si imbatte nei ragazzi del “Tuk-Tuk”. Chi sono? Lo scoprirete in questo numero di Incontro.
Buona lettura! 

By Emanuela Chiumeo
“If not now, when?”.
It’s the name of a movement, but also the question that’s being posed by the many people, who for months have been pouring into streets and squares across the world, turning them into “agora” for exchanges of opinions, protests and sit-ins, meant to continue till the goal is won. Incontro Mediterraneo wanted to hear from the women in those squares, including some who’ve been fighting so long for their rights in various fields. Among the ones we interviewed: Cristina Comencini, actress and screenwriter, one of the promoters of the movement “If not now, when?”; Sallaba Sahar, a leading figure in the field of finance, considered among the 100 most influential women in the Arab world, but also an activist and supporter of the young women of the Egyptian Revolution and their rights; Rejeb Youad, Tunisian activist from the “Université Féministe Ihem Marzouki” which was created to give greater impetus to the dialogue between men and women; and several others. Without question, the conquest of civil rights can only come through the profound reform of society itself, in communications, social issues, the economy, but also in the “transparency of investment” a priority for Osama Saleh, who heads the Gafi (General Authority for Investments and Free Zones in Egypt) of which we offer a careful economic analysis. From the piazza to revolutions. Then, looking for a smile, Incontro, came across the boys of tuk-tuk. Who are they? You’ll find out in this issue. Happy reading!

 

Posted in Editorial/Editoriale | Leave a Comment »

Cosa è accaduto a Maspero (quartiere cairota sede della televisione di Stato)?

Posted by Incontro Mediterraneo on October 12, 2011

di Emanuela Chiumeo

Il Popolo egiziano pretende risposte. Voci di gente comune prima di lasciare la parola alla cronaca .
Dal lungo fiume di Zamalek in prossimità dell’hotel Marriot le fiamme apparivano alte a Maspero (luogo degli scontri). Un silenzio, inusuale per ora e luogo (strada di accesso uno dei ponti più trafficati nelle ore di puntacairote), avvolgeva il quartiere. Sono le grida improvvise di un gruppo di dimostranti a rompere quel silenzio. Urla disperate di gente arrabbiata, di gente che vuole spiegare, che vuole capire. Hanno lasciato Maspero (dopo qualche ora il numero dei morti diventa sempre piu importante: alle 23 se ne registrano 22, molti di essi tra le file dei dimostranti) per rifugiarsi nel quartiere, considerato, allo stato attuale, tra i piu sicuri del Cairo. Con gli occhi sconvolti, di chi non avrebbe voluto veder quello che ha visto, gridavano, “perché ci hanno attaccati, perché…?”, in inglese si rivolgono a noi e in arabo a quei passanti attirati dalle loro urla, forse ignari di quello che stava accadendo al di là del fiume. Le tragedie, qui al Cairo, in questi giorni tumultuosi, possono verificarsi in luoghi distanti pochi metri da aree cittadine che continuano a pulsare di vita propria.
“Ma chi vi ha attaccati? chiediamo. Uno di loro ci risponde, “l’esercito” e senza prender fiato, con lo stesso tono di voce continua: “eravamo in una tranquilla dimostrazione, regolare, avevamo il permesso dalle 16 alla 20. Siamo partiti da Shubra (uno dei quartieri a maggioranza copta), eravamo un gruppo di attivisti misti: copti, e io lo sono, e musulmani. Anzi ci tengo subito a dirvelo non è un problema tra musulmani e copti, sono loro, i soldati, che ci hanno attaccato. E non sappiamo perché, e ditelo fuori, ditelo al mondo intero, che sono bugiardi e che se dicono che abbiamo ucciso dei soldati, che li abbiamo attaccati per primi, mentono…” . Si allontana con due parole che ancora echeggiano nella nostra mente… “perché? perché?” .   

 

Posted in Attualità, Egypt | Leave a Comment »

Corsi e ricorsi di una Nazione

Posted by Incontro Mediterraneo on September 17, 2011

Intervista a Marco Castoldi, operatore turistico, di Emanuela Chiumeo.
Ci risiamo. Si parlava dieci anni fa di un nuovo corso politico ed economico per la Libia, di una nuova frontiera turistica. Ci troviamo a domandare, all’indomani della rivolta iniziata il 17 febbraio, quale sarà la Libia del domani e chi saranno i protagonisti del nuovo corso

Dieci anni fa, all’indomani dell’embargo internazionale, durato dal 1992 al 1997, e di un isolamento politico di 31 anni, una nota rivista italiana di turismo dedicava un intero numero alla Libia, nuova frontiera turistica per la sua vicinanza all’Europa, per le sue bellezze naturali e archeologiche e per il suo clima. “Non tralasciamo gli ampi spazi che il paese offre, simbolo di un popolo che li ama per il silenzio e la spiritualità che possono infondere”, affermava Monsignor Giovanni Martinelli, Vicario Apostolico della capitale libica, uno di coloro che più avevano spinto per la rimozione dell’embargo. La rivista, in un articolo dal prudente e diplomatico titolo, La Libia di Gheddafi. Profilo di una nazione così vicina e ancora così enigmatica, forniva un quadro dettagliato della nazione, degli avvenimenti di cui è teatro la Jamahiriya araba popolare e socialista di Libia, nome voluto da Mohammar Gheddafi, al potere con un colpo di stato militare dal 1969. Titolo quanto mai profetico. 

IL NUOVO CORSO
Fin dagli inizi del nuovo corso nel 2001, i Paesi occidentali dimostrano di avere un forte interesse nel riallacciare rapporti di affari con il Rais. Primi fra tutti, Italia e Francia, i più direttamente coinvolti per ragioni storiche, economiche e geografiche, affiancati dagli Stati Uniti, che dopo anni di totale chiusura, decidono di riaprire a Tripoli la propria ambasciata. La Libia premia, per la fiducia accordatagli, i Paesi occidentali e in un momento di crisi, nel 2009, lancia un programma di investimenti del valore di oltre 200miliardi di dollari per la realizzazione di infrastrutture. L’Italia è tra i Paesi più coinvolti (alla Termomeccanica SpA verrà affidato l’appalto per la realizzazione di tre depuratori di acqua del valore di 197 milioni di euro).

IL SETTORE TURISTICO E IL NUOVO CORSO
Un operatore turistico, da anni presente in Libia e in Egitto, ci racconta la sua esperienza diretta. Lo abbiamo raggiunto via Skype. Marco Castoldi è il direttore dal 2009 della filiale libica di un importante tour operator italiano. Si trasferisce per la prima volta in Libia nel 2004, in rappresentanza di un gruppo belga a maggioranza libica. “In Libia”, ci spiega, “per legge il socio maggioritario (quasi sempre un organismo statale essendo l’iniziativa privata pressoché inesistente) deve essere libico”. Un’identica situazione la viveva l’investitore straniero negli anni ‘90 in Russia, all’indomani della Perestrojka. Castoldi ha vissuto per lunghi anni anche in Egitto e tiene subito a chiarire il diverso approccio verso l’industria turistica. “Per L’Egitto il turismo è una risorsa vitale (seconda industria egiziana) che per indotto produce altrettanta ricchezza. “Mentre per la Libia”, continua Marco Castoldi, “il turismo rappresenta uno dei tanti sbocchi economici. La prima industria libica resta nei fatti la produzione di petrolio e l’indotto impiantistico ad essa legata (n.d.r.: la Libia è uno dei più importanti serbatoi di petrolio di tutta l’Africa e per l’Italia è un partner commerciale chiave proprio in materia energetica, coprendo più del 10% del fabbisogno energetico del nostro Paese). Persino nei momenti di boom, dal 2003 fino alla fine del 2004, il turismo non è mai stato considerato un’industria primaria. Un elemento che diventa evidente anche nella qualità del servizio offerto. Quando parlo di servizio, non intendo solo l’albergo di gran lusso, ma mi riferisco ciò che rende l’intero pacchetto turistico di qualità: ristorazione, società per congressi, organizzazione di feste. Va poi aggiunto che la macchina burocratica, notevolmente snellita negli ultimi anni in Egitto, in Libia è ancora troppo lenta e farraginosa. Volendo scendere sul pratico, la registrazione di un gruppo, che sia già avvenuta all’arrivo del cliente, rappresenta un miglioramento del servizio. In Libia non è ancora possibile, perché le trafile burocratiche non possono essere affidate all’operatore, ma devono essere effettuate unicamente dagli stessi turisti. Ecco, questo per me è un limite al servizio che io come operatore posso offrire”.
Il turismo richiede adeguate infrastrutture. Chiediamo a Marco Castoldi quanto, fino allo scoppio della crisi, fosse stato fatto. “Gli investimenti nel settore sono stati fatti principalmente a Tripoli, mentre nella parte est del Paese, in Cirenaica, tutto è rimasto invariato. Tripoli si presenta tuttora come un enorme cantiere. Da qualche anno erano arrivate le prime catene alberghiere internazionali, Marriot, Radisson Blue, Intercontinental. Il settore, anche se con notevoli ritardi, era in fermento e soprattutto in divenire… Un fermento in cui eravamo coinvolti anche noi operatori per una serie di progetti, di servizi innovativi che ci accingevamo ad attuare”. “Nel 2003”, continua Castoldi, “negli anni del boom, il numero di turisti che avevano scelto la Libia come meta turistica erano veramente tanti e i fatturati lo dimostrano. Alcuni erano attratti dal deserto, uno dei più belli dell’area; altri erano interessati ad un turismo di tipo culturale, incentrato sulle visite ai siti archeologici di Leptis Magna, Sabratha in Tripolitana o di Apollonia e Tolemaide in Cirenaica. Non va dimenticata la città di Tripoli, il suo quartiere italiano e il museo archeologico con i suoi unici reperti greco-romani, a cui si affianca una sezione altrettanto interessante dedicata alla vita del Colonnello e alle sue imprese”. “Molti di questi turisti erano in Libia anche allo scoppio della rivolta”, ci ricorda Castoldi, “erano nel deserto, in Cirenaica. Tutti rimpatriati, per fortuna, grazie anche all’attivismo delle diplomazie europee”.

 UN NUOVO CORSO IN ARRIVO…
Dal 16 Febbraio Marco Castoldi non è più in Libia, tanti gli avvenimenti che si sono susseguiti da allora. Il 17 febbraio, quando sono scoppiati i tumulti, era a Milano alla BIT, una delle più importanti fiere europee nel settore turistico. Tanti come lui si stanno chiedendo cosa sarà della Libia, un Paese di “non solo petrolio”, una volta terminata la Rivoluzione.  “Dietro gli avvenimenti tragici di questi mesi”, conclude Marco Castoldi, “ci sono popolazioni che hanno il diritto di essere ascoltate e rispettate. Aldilà dei rapporti fra governi, è con i popoli del nord Africa che bisogna riallacciare il dialogo, senza dimenticare quanto ospitali siano sempre stati nei nostri riguardie. Questo è il Castoldi uomo che vi parla. Da operatore turistico, uomo di affari, mi auguro di ritornare a lavorare quanto prima in quelle aree, a pieno regime, con i grandi numeri del 2003”.

Posted in Cover. Attualità, Libia, Pianeta Africa | Tagged: , | Leave a Comment »

Delocalizzare in Tunisia : ieri e oggi

Posted by Incontro Mediterraneo on September 16, 2011

Intervista alla direttrice dell’ICE, Istituto per il Commercio Estero di Tunisi, la dott.ssa Cecilia Oliva di Micol Briziobello. Foto di Micol Briziobello
 
Una tassazione vicino allo zero per i primi dieci anni, contributi da parte dello stato, salari ridotti del 40% rispetto a quelli europei, questi i vantaggi che hanno spinto centinaia di imprese italiane a delocalizzare in Tunisia

La direttrice dell’ICE, Istituto per il Commercio Estero di Tunisi, la dott.ssa Cecilia Oliva, piacevolmente sorpresa dalla rivoluzione tunisina ci presenta un’immagine molto nitida e positivista della situazione delle aziende italiane in Tunisia.

Quale è la situazione delle imprese italiane all’indomani della rivoluzione?

Nonostante quel che si possa immaginare, in Tunisia non si sono verificati danni particolarmente gravi per le aziende italiane, sia in termini di distruzione degli edifici che di blocco della produzione. Delle 700 aziende italiane presenti sul territorio, l’ICE ne copre circa 500 – quelle con più di 10 dipendenti – e di queste, meno di 15 hanno subito danni relativamente gravi, dovuti, perlopiù, ad un malessere pre-esistente legato a diversi fattori interni alle singole aziende, esploso durante la rivoluzione. Seri danneggiamenti sono stati apportati ad un’azienda produttrice di plastica che, suo malgrado, si trovava in un’area lottizzata dall’odiatissima famiglia Trabelsi, della moglie del presidente. Altri dannni li ha subiti un’azienda tessile, coinvolta in furti verificatosi nei giorni successivi alla dipartita di Ben Ali, episodi di sciacallaggio che hanno interessato soprattutto Tunisi.

Quali sono le principali preoccupazioni per le imprese italiane?

Alcune aziende hanno chiuso soltanto per qualche giorno, essendosi verificati episodi di forte tensione all’interno delle fabbriche. Gruppi di disoccupati all’esterno delle fabbriche minacciavano gli operai che avevano deciso di non aderire alle manifestazioni di protesta e continuavano a lavorare normalmente. Attualmente, ciò che crea più problemi agli imprenditori italiani sono proprio le rivendicazioni sindacali estemporanee e portate quasi all’eccesso all’interno delle aziende, per richiedere ogni tipo di benefici. Laddove è possibile, con il consenso delle parti, le imprese riescono a stipulare accordi con l’unico grande sindacato del Paese, l’UGTT, Union générale tunisienne du travail, il quale sembra ancora, dopo la rivoluzione, non essersi ricollocato chiaramente. Un altro problema è legato alla mancanza di fiducia dei  fornitori nel sistema Paese, frutto di un’immagine distorta arrivata all’estero. Alcuni fornitori sono riluttanti ad inviare materiale in Tunisia e alle aziende mancano paradossalmente le materie prime per poter continuare la produzione.      Le rivendicazioni sui salari minimi, invece, hanno toccato in modo solo marginale le aziende italiane che, servendosi per la maggior parte di personale specializzato, retribuiscono i dipendenti con salari già superiori a quello minimo garantito.

Ci sono imprese italiane che hanno collaborato con Ben Ali e quali sono state le reazioni degli imprenditori italiani all’indomani della dipartita del presidente?

Sicuramente ci sono aziende che hanno avuto relazioni con Ben Ali, soprattutto le più redditizie, anche perché altrimenti non avrebbero potuto installarsi nel Paese. Va però considerato che la dipartita di  Ben Ali e della famiglia Trabelsi, ha rappresentato un sollievo per molti imprenditori che per anni sono stati costretti a lavorare in segreto. Ad esempio, ci sono delle aziende italiane che si sono recentemente unite in consorzio nel settore della chimica e che, finalmente, possono lavorare liberamente mentre prima dovevano mantenere un basso profilo. Qualora la famiglia del presidente avesse scoperto il buon andamento dei loro affari, avrebbe interferito sia negli affari che nel profitto con un atteggiamento spiccatamente mafioso. In generale, a parte le aziende danneggiate, la reazione degli imprenditori italiani è stata molto positiva. Da non ignorare che in alcune aziende gli stessi dipendenti si sono occupati della protezione della fabbrica, vegliando giorno e notte per evitare incendi, furti e atti di sciacallaggio.

Ci sono indennizzi previsti dai governi italiano e tunisino per le aziende danneggiate?

Per quanto riguarda gli indennizzi, non sono previsti dal governo italiano, ma, proprio in questi giorni, è in corso la redazione di un documento che prevede indennizzi da parte del governo tunisino.

Gli accordi stipulati fino ad ora restano validi? E stata pattuita una linea unica nell’area del Mediterraneo alla luce di quello che sta accadendo anche in Libia e Egitto?

Gli accordi stipulati restano tutti invariati. Non c’è stata e forse non è stata nemmeno necessaria una linea unica per l’area del Mediterraneo, dato che la Tunisia rientra negli accordi di libero scambio con l’Unione Europea. Pertanto, continuano le attività così come pianificate, alcune di esse sono state solo posticipate. Ad esempio, sulla base di un accordo di collaborazione con il CEPEX, Centre de Promotion des Exportations, l’omologo tunisino dell’ICE, tra breve avrà inizio un corso di formazione sulle tecniche di commercio con l’estero. Inoltre, la cooperazione italiana ha promosso una linea di credito di 73 milioni di Euro che partirà tra qualche mese per favorire l’insediamento di nuove aziende.

Le banche intendono sostenere le nostre aziende?

Purtroppo sono giunti in Italia segnali allarmistici e molto negativi sulla situazione nel Paese, tanto da indurre alcune banche italiane a  non confermare le linee di credito alla banche tunisine.

Ci potrà essere ripresa a breve?

In generale, anche se la situazione continua ad essere incerta, la mia visione è ottimistica, il lavoro intrapreso avrà sicuramente i suoi frutti. Ci sono diverse aziende che stanno prendendo in considerazione il mercato tunisino e sembrano interessate ad investimenti futuri. Sicuramente, un imprenditore che decide di investire oggi è più tutelato di un imprenditore che ha investito un anno fa. Chi ha infatti investito lo scorso anno si trova a dover affrontare variabili non previste, legate al nuovo andamento politico ed economico. Pertanto, i nuovi investitori finiranno per avere un’immagine sicuramente più vicina a quella reale in termini di salari, sicurezza del Paese e altro. Ci sono poi da tenere in considerazione anche tutti i settori come le grandi distribuzioni, i trasporti, che erano monopolio della famiglia del presidente e che,  rimasti scoperti, potrebbero interessare imprenditori stranieri.

Quali sono le priorità del Paese nell’immediato futuro?

La Tunisia dovrà affrontare delle difficoltà macroeconomiche notevoli nel senso che il Paese è attualmente soggetto a forti pressioni sociali, la cui soluzione avrà costi notevoli. Cosí come andranno affrontati i danni che la crisi politica ed economica sta apportando al settore turistico.

Micol Briziobello Laureata in Filologia, Storia e Culture dei Paesi Islamici, si specializza in cooperazione internazionale con focus nei Paesi arabi e del mediterraneo. Dal 2002 ho avuto modo di vivere in Tunisia, Egitto, Francia, Campi Saharaoui (deserto algerino), Marocco, Yemen e Argentina. Da un po’ di tempo si dedica alla scrittura di articoli e alla fotografia da reportage.  Attualmente  vive in Tunisia.

Posted in Cooperazione Internazionale, Cover. Attualità | Leave a Comment »

L’intricato mondo politico Tunisino

Posted by Incontro Mediterraneo on September 16, 2011

                                                                                                    
Intervista a Mourad Rouissi segretario generale del Movimento Nazionale per la Giustizia e lo Sviluppo (MNJD) di Micol Briziobello

Il Movimento Nazionale per la Giustizia e lo Sviluppo (MNJD) uno dei partiti nati all’indomani del 14 gennaio Dignità, libertà e giustizia le loro linee guida. 51 il numero dei partiti fino ad oggi registrati in Tunisia, molti nati ni primi mesi del 2011

Sorseggiando un tè alla menta, Mourad Rouissi, insegnante universitario e giovane sociologo tunisino, mi racconta, con accurata scelta delle parole, la nascita del partito del quale è segretario generale da quasi due mesi, il Movimento Nazionale per la Giustizia e lo Sviluppo (MNJD). Il partito, composto da undici membri fondatori, otto uomini e tre donne, facenti parte della classe intellettuale e del contesto universitario del Paese, mira ad essere voce della società civile tunisina basandosi su concetti universali come dignità, libertà e giustizia.

Perché movimento e non partito?

Abbiamo scelto di non usare il termine arabo ḥizb, partito, perché da più di cinquanta anni il concetto di partito è malvisto in Tunisia a causa dell’egemonia esercitata prima dal partito politico di Bourguiba, il PSD (Parti Socialiste Destourien), e poi dall’RCD (Rassemblement Constitutionnel Démocratique) di Ben Ali. Purtroppo in questi anni abbiamo sempre assistito alla presenza di un solo partito politico che controllava tutti i settori della società e che ha sempre rifiutato drasticamente ogni forma d’opposizione. I giovani non hanno più alcuna fiducia nel concetto di partito tradizionale: parlare di partito significherebbe rievocare l’RCD. Il termine movimento, invece, mira all’azione e noi vogliamo partecipare, insieme agli altri partiti, alla costruzione concreta di una società basata sulla giustizia, lo sviluppo, la libertà e il rispetto dei diritti umani, aspetti fondamentali per la società civile ma fino ad ora trascurati se non ignorati.

Come vi siete costituiti in “movimento” e perché?

Dopo il quattordici gennaio, quando Ben Ali ha lasciato la Tunisia, è stato inevitabile scendere in piazza per esprimere quello che per anni avevamo dovuto trattenere. E soprattutto per non allontanare la rivoluzione dalle basi popolari che aveva avuto e per proteggere il nostro Paese. L’azione politica è diventata così necessaria, quasi un dovere morale, non bastava più semplicemente far parte di un’associazione ma si doveva passare all’azione per poter garantire il rispetto dei diritti umani, fondare un sistema democratico e sviluppare il Paese. Non avevamo scelta: dovevamo sfruttare l’occasione che ci veniva data. Prima non era possibile esprimerci liberamente, ora non è ammissibile non partecipare alla costruzione del futuro del nostro Paese.

A chi vi ispirate?

Non abbiamo un riferimento specifico individuabile in una persona come un guru o un filosofo. Quello che sappiamo è che non siamo d’accordo con i partiti fondati sulle ideologie classiche come socialisti, liberali, islamisti, comunisti. Viviamo in un sistema mondo, un mondo in cui le ideologie non trovano più riscontro nella realtà e intendiamo muoverci verso valori umanistici come libertà, democrazia e diritti umani. Fondamentalmente, siamo in cerca di una terza via che si basi sulla voce concreta del popolo piuttosto che su un’ideologia astratta.

Quali mezzi avete?

Quello che sappiamo è che dobbiamo lavorare duro per poter guadagnare un posto nella politica tunisina. Dobbiamo essere presenti, partecipare ad ogni manifestazione, farci vedere, comunicare e saper ascoltare i cittadini. Sappiamo che sarà una sfida difficile da vincere perché dei trenta partiti che attualmente costituiscono il panorama politico tunisino almeno tre sono rappresentati da esponenti dell’RDC che, nonostante sia stato definitivamente sciolto dal tribunale di Tunisi lo scorso nove marzo, rappresenta ancora una minaccia.

Una delle maggiori preoccupazioni dell’occidente è legata alla possibilità di un ritorno all’islam radicale in seguito al rientro in Tunisia dell’islamista Rachid Ghannouchi, in esilio a Londra per venti anni. Come vi ponete rispetto a questo fenomeno?

Tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80 Ghannouchi ha cercato di ottenere un posto in Parlamento diffondendo l’idea di un Islam eccessivamente radicale, senza tuttavia riuscirci. Però non si può non ammettere che Ben Ali abbia ingiustamente torturato, messo in prigione o costretto a lasciare il Paese tutti coloro che sostenevano Ghannouchi. Ben Ali ha strumentalizzato enormemente questo partito politico che gli ha permesso di farsi legittimare e proteggere dall’occidente dato il suo ‘impegno’ contro l’Islam radicale. Noi rispettiamo questo movimento perché i suoi aderenti sono stati duramente perseguitati, anche se non siamo d’accordo con loro. Noi siamo musulmani e non islamisti, rispettiamo le minoranze, e non vogliamo l’applicazione della shari’a perché i progetti di legge emanano dalla volontà del popolo.

Quale sarà la Tunisia del domani?

Il nostro sogno è vedere la Tunisia far parte del G8 o del G20. Io sono ottimista. Il Paese è davvero piccolo, il numero della popolazione esiguo, però la nostra umanità è molto forte. Per questo è in Tunisia che è cominciata la ‘primavera dei paesi arabi’. Mi piacerebbe inoltre che i Paesi del nord non partecipassero più alla dittatura dei Paesi del sud. Siamo stati traditi proprio dai governi dei Paesi del nord.

Micol Briziobello Laureata in Filologia, Storia e Culture dei Paesi Islamici, si specializza in cooperazione internazionale con focus nei Paesi arabi e del mediterraneo. Dal 2002 ho avuto modo di vivere in Tunisia, Egitto, Francia, Campi Saharaoui (deserto algerino), Marocco, Yemen e Argentina. Da un po’ di tempo si dedica alla scrittura di articoli e alla fotografia da reportage. Attualmente vive in Tunisia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Posted in 1, Cooperazione Internazionale, Cover. Attualità, Italiani Nel Mondo, Pianeta Africa, Pianeta Donne | Leave a Comment »

Tecnologia e gioventù

Posted by Incontro Mediterraneo on September 9, 2011

di Yasmine Perni. Foto di Yasmine Perni

La parola ai giovani  di  Tahrir

È accaduto all’improvviso, anche se da anni si registravano i segnali di quel malessere diventato poi risveglio. Una sorpresa per tanti, forse per tutti. Al centro di tutto ciò i giovani, definiti per anni scontati, apatici, letargici, indifferenti, non curanti. Questi giovani Egiziani hanno provato al mondo di essere all’altezza della situazione, dimostrandolo alla prima occasione. In quell’indimenticabile 25 Gennaio, tanti di loro erano in piazza solo perché incuriositi. Lì hanno incontrato quelli che a Piazza Tahrir c’erano perché volevano e dovevano esserci, fautori di un avvenimento che andrà annoverato tra uno dei più significativi del secolo corrente.

“Ho visto l’invito sulla pagina ‘Siamo tutti Khaled Said’ di Facebook e ho pensato al tono sarcastico del testo. L’ho trovato divertente, come se avessero preso appuntamento con la rivoluzione”, ricorda Alfred Rauf, giovane laureato in scienze informatiche e che lavora allo Smart Village, un villaggio ultra tecnologico dell’informatica ai margini del Cairo. Quella mattina Alfred scrisse come suo status su Facebook: “Spero che questa rivoluzione finisca per le 9, perché dopo mi incontro con amici per un drink”. Alfred, come tanti altri giovani egiziani, era disincantato dalla politica. “Non è che non mi importasse, è che mi sentivo impotente, incapace di cambiare un alcunché”.“Sono arrivato, in macchina, dal ‘Sei Ottobre’, uno dei nuovi quartieri del Cairo, ho parcheggiato all’entrata di Ramses, vicino al palazzo della sede del quotidiano egiziano ‘Al Ahram’ e ho iniziato a camminare. Volevo vedere di persona”, racconta Hani Morsi, autore dell’omonimo blog (http://www.hanimorsi.com/blog/). Hani è sempre stato interessato alla politica, ma si considerava ‘solo un osservatore’. Il 25 Gennaio aveva un forte interesse a vedere con i suoi occhi cosa stesse accadendo: tanti gli amici e conoscenti incrociati quel giorno, gente che anche con una sorta di passaparola era stata convocata da altre persone. “Inizialmente molti ignoravano dove realmente andare. Via via che si aggregavano fino ad diventare un’entità unica, folla, la direzione da seguire risultava meglio definita. Era quella del flusso, delle masse: Tahrir”.

Mohammed uno studente di 25 anni ha iniziato la giornata a Mohandeseen, una zona medio borghese del Cairo. “Mi sono incontrato con alcuni amici di fronte alla Mosched Mustafa Kamel. L’idea era di restare lì per due ore e poi tornare a casa. All’inizio eravamo circa 300 persone. I poliziotti erano lì intorno a noi, urlavamo, e dopo qualche ora in modo pacifico siamo riusciti a rompere le loro fila. La polizia non ha reagito e non ci ha picchiato, quindi abbiamo iniziato a correre per le strade senza saper bene cosa fare. A quelli che ci guardavano dai balconi, gli chiedevamo di scendere in strada e di raggiungerci. Non avevamo un piano, un copione, tutto era spontaneo, tutto era nuovo. La polizia di fronte a questa ondata di entusiasmo di energia positiva, sembrava impreparata”. Ciò che questi giovani hanno in comune è la destrezza e la familiarità con i computer.“La maggior parte dei giovani ha accesso ad internet, costa poco e pur non avendo un proprio computer, tutti possono facilmente accedervi grazie agli Internet Café”, spiega Issander Al Amrani, un rispettato giornalista e autore del blog Arabist al Cairo (http://www.arabist.net/). È ironico pensare che “il governo precedente abbia facilitato l’uso di internet e l’abbia reso accessibile quasi a tutti. L’Egitto era un paese rigidamente controllato dalla polizia, ma ciò nonostante si è sempre potuto parlare di tutto, nulla a che vedere con il regime di Ben Ali. Il governo, pur cosciente dei rischi che potessero derivare da internet non lo ha mai bloccato, non voleva sentirsi additato come un paese poco democratico”. “Quindi mentre la televisione era fortemente controllata, retaggio anche di un sistema antecedente a quello di Mubarak, internet, in Egitto, era totalmente fuori controllo, uno spazio non regolamentato” spiega Al Amrani. Dopo le elezioni del 2005 e le repressioni delle dimostrazioni indette dal movimento di opposizione ‘Kefaya’ (kefaya in arabo vuol dire ‘basta’), gli abusi, gli arresti, le violenze da parte della sicurezza di stato, il discorso tra i giovani è passato dalla realtà al mondo virtuale e l’uso di Facebook e dei blog è aumentato. Il governo e gli intellettuali non hanno dato credito al ruolo dei ‘social media’, “il quale invece si è rivelato il mezzo per cementare rapporti in un paese dove è illegale, in stato di emergenza, tenere incontri con più di 5 persone (n.d.r. nei fatti lo stato di emergenza era stato dichiarato nel 1981 ed è perdurato fino alla caduta di Mubark)”, dice Hani Morsi. Nel mondo virtuale si potevano avere gruppi di centinaia di persone. “Quello che veniva discusso nel mondo virtuale, è tornato nel mondo reale in forma di azione sociale”. Le ragioni della rivoluzione sono multiple. Per taluni, tuttavia, la riuscita dell’azione di rivolta va riconosciuta al ruolo dei ‘social media’, assurto alla ribalta durante la rivoluzione: essa non ci sarebbe stata se le masse non si fossero aggregate ai giovani di Tahrir. Ad una più attenta valutazione, tanti gli eventi che costituiscono i prodromi di quella rivolta: l’uccisione di Khaled Said, il giovane blogger violentemente picchiato a morte dalla polizia mentre era agli arresti in una stazione di polizia ad Alessandria; il lento ma costante rialzo del costo della vita e i bassi salari; l’alto tasso di disoccupazione; gli scioperi, violentemente stroncati dalla sicurezza di Stato, di Mahalla Al Kubra, un paese industriale nel Delta del Nilo; la corruzione diffusa e gli evidenti brogli durante le recenti elezioni parlamentari; la rivolta in Tunisia, tutte, e non solo una ‘le gocce cha hanno fatto traboccare il vaso’. Il popolo Egiziano gridava ‘Kefaya’ da anni. È stata una miscela cruciale dell’uso dello spazio virtuale dei giovani, con il malcontento delle masse che ha provocato la caduta del regime. “Internet ha accelerato un processo inevitabile. Non è sorprendente che l’impulso sia venuto dai giovani; la tecnologia ci viene naturale, ci siamo cresciuti”, conclude Hani Morsi. I social network  sono stati il culmine di un attivismo cibernetico che ha trovato l’apice negli accadimenti del 25 gennaio. I social media hanno finito per anticipare, dare un accellerata  ad accadimenti che altrimenti si sarebbero potuti verificare solo fra due tre anni. Ma i giovani sono ben consapevoli che la rivoluzione è solo agli inizi. “Solo un inizio” continua Alfred, “immaginiamo un muro di cemento in cui ci sia un chiodo saldamente piantato: quello che abbiamo fatto l’11 febbraio è stato di togliere la testa del chiodo. Mubarak, la testa del chiodo, è stato rimosso perché era quello più visibile, ma il resto del chiodo è ancora nel muro”. Un compito che giovani di Tahrir sembrano aver preso sul serio. Alfred ha ancora un frammento di pallottola nella gamba, un promemoria che la lotta non è ancora finita.

Posted in Cover. Attualità | Leave a Comment »

La rinnovata settimana della lingua italiana nel mondo

Posted by Incontro Mediterraneo on January 24, 2011

di Emanuela Chiumeo

“Una lingua per amica: l’italiano nostro e degli altri”, il tema della X edizione della Settimana italiana nel mondo

La notizia è tutta li, quella che forse da anni attendevamo tutti: maggiori fondi, in un settore, quello della diffusione della lingua italiana nel mondo, che a fronte di un moderato investimento potrebbe dare risultati consistenti in diversi settori, da quello economico a quello culturale. È quanto asserito dal Sottosegretario agli esteri, Stefania Craxi all’apertura della manifestazione. “Basti pensare solo ai tanti i ragazzi che potrebbero trovare lavoro nelle aziende italiane delocalizzate in Egitto. Ne parlerò al ministro Gelmini al mio rientro in Italia ”.
Sono proprio loro, i giovani, a segnare le linee guida di questa Settimana della Lingua Italiana. Nell’attuare il rinnovamento che ogni manifestazione necessita per essere al passo con i tempi,  si è voluto individuare un segmento ben preciso a cui indirizzare i propri sforzi: le nuove generazioni. Un’esigenza condivisa anche dalla direttrice dell’Istituto di Cultura italiano al Cairo, Patrizia Raveggi, che ai microfoni della Rai ha affermato: “Il nostro terreno di caccia sono i ragazzi. Per me l’Università è sempre stato un luogo privilegiato continua…

Posted in Cooperazione Internazionale | Tagged: , | Leave a Comment »

Viva la comunicazione

Posted by Incontro Mediterraneo on January 23, 2011

di Emanuela Chiumeo

Due eventi che diventano notizia

Settimana Internazionale della Lingua Italiana e consegna al Ministro egiziano della Famiglia e della Popolazione, Moushira Khattab, della più alta onoreficenza della Presidenza della Repubblica. Eventi che hanno ricevuto ampia copertura mediatica, sia da parte italiana che egiziana. La nostra, seppure in ritardo per la periodicità bimestrale della rivista, non può egualmente mancare. Va subito detto che da qualche tempo le istituzioni italiane all’estero sembrano aver imboccato la via giusta per migliorare la comunicazione, dando visibilità ad eventi che in passato, a parità di rilevanza, restavano “fra le mura di casa”.continua…

Posted in Cooperazione Internazionale | Tagged: , | Leave a Comment »

MOGLI (E MARITI) AL SEGUITO

Posted by Incontro Mediterraneo on January 18, 2011

di M. Katia Gesuato 

Il gruppo di sostegno che ha il piacevole o ingrato compito di ricostruire una vita per sé e la sua famiglia

Tra la folta pattuglia degli italiani all’estero per lunghi periodi un’attenzione particolare merita un “gruppo” alquanto speciale: le consorti, i consorti (raramente) al seguito.
Chi sono?
Fidanzate, compagne, mogli o mariti e figli che, un po’ per dovere, molto per scelta, accompagnano l’italiano all’estero con un contratto almeno biennale spesso rinnovabile. È il gruppo di sostegno, il supporto logistico che si accolla quasi tutte le incombenze pratiche, in primis il mettere su casa e poi tutto il resto: scuola per i figli, selezione del personale di servizio e quant’altro. Eliminate quasi totalmente queste preoccupazioni, il nostro, si potrà dedicare mente e corpo al lavoro con grande soddisfazione della ditta. Forti di condizioni privilegiate di reddito e di status, accolti dalla ditta di appartenenza come una mamma che offre anche, oltre ai vari benefit compresi nel pacchetto d’ingaggio, una rete di relazioni già pronte, a cominciare da un comitato d’accoglienza, che attutiscono e ammortizzano l’impatto con il paese straniero, il personale di enti pubblici e aziende private vive dentro la stessa “bolla” approntata per loro da cui, volendo, si può anche fare a meno di uscire.continua…

English version

Posted in Italiani Nel Mondo | Tagged: | Leave a Comment »

Italiani d’America

Posted by Incontro Mediterraneo on January 18, 2011

di Ermanno Salvatore

Antonino Sinatra partì emigrante da Palermo. Il figlio Frank divenne: “The Voice”

Ero in fila da più di mezz’ora con la mia auto tra il Gezira Club e l’Opera House. Qui al Cairo la velocità media  non supera i sei chilometri orari. In alcuni casi credo si faccia prima  ad andare a piedi. Così mentre ero in coda circondato da decine di taxi, si dice che in città ne circolino almeno cento mila, ho visto un cartellone che pubblicizzava uno spettacolo musicale dal titolo “The Rat Pack Show”. L’evento si sarebbe svolto presso  El Sawy Culturewhell  a Zamalek. Non credevo ai miei occhi. I ragazzi del “ Rat Pack” tornavano in scena con le loro canzoni degli anni sessanta reinterpretate da giovani artisti. Non potevo perdermi il “revival” di My Way, Flying into the Moon, New York, New York e tante altre canzoni  passate alla storia della musica internazionale. Sapevo già in anticipo cosa avrei visto ed ascoltato. E lo show non ha tradito le attese. Fantastico ed emozionante specialmente per chi come me ha vissuto gli anni in cui il “branco di ratti” si esibiva nei lussuosi alberghi di Las Vegas continua…

English Version

Posted in Italiani Nel Mondo | Tagged: | Leave a Comment »

Un uomo, un monastero

Posted by Incontro Mediterraneo on January 6, 2011

di Valentina Viene 

Padre Paolo dall’Oglio, gesuita romano. L’ incontro tra mondo islamico e  cristiano nel deserto siriano, lontano dai rumori e dall’aria asfissiante… della capitale,  sulle rovine di un monastero, oggi centro propulsore di una nuova comunità   

da Damasco                            

Studente di lingua araba all’Università L’Orientale di Napoli, Padre Paolo si era recato in Siria nel 1981 per perfezionare la lingua araba e approfondire gli studi di islamistica. “Andai in pellegrinaggio al forte di San Simeone per capire quali fossero le priorità apostoliche dei discepoli di Gesù, uomini e donne, nel sofferente Medioriente”. L’anno successivo, il 1982, sarebbe stato caratterizzato da tumulti e stragi in Siria, il cui evento più tragico fu la distruzione della città di Hama, roccaforte dei Fratelli Musulmani, oppositori del governo. continua…

English Version

Posted in Italiani Nel Mondo | Tagged: , | Leave a Comment »